Ho l’impressione che lo smartphone sia sempre a conoscenza delle mie necessità, infatti è una realtà.
In effetti, è così, ma non registra le nostre conversazioni; piuttosto, si avvale di algoritmi basati sui comportamenti online.
Ci possiamo trovare seduti in un bar a discutere con amici dell’ultima canzone di un artista o delle vacanze da fare.
Alzandosi e salutando, quando si riprende lo smartphone per visitare un sito o scorrere i post sui social media, si nota una pubblicità per il prossimo concerto di quel cantante e immediatamente dopo quella di una compagnia aerea che offre sconti sui voli verso la vacanza.
Una cosa che capita spesso, è capitato anche a voi, probabilmente sì.
Situazioni come queste alimentano il dibattito sulla privacy e sull’ascolto attivo dei nostri dispositivi.
Soprattutto perché alcune coincidenze sembrano talmente precise da far pensare che qualcuno possa effettivamente captare ciò che diciamo per influenzare le nostre decisioni d’acquisto.
Ma quanto c’è di vero.
Il timore che i nostri smartphone possano ascoltare conversazioni private non è solo frutto dell’immaginazione; esso si basa sull’esistenza di tecnologie relativamente semplici e sulla crescente diffusione di pratiche di marketing invasive.
Negli Stati Uniti ha recentemente destato scalpore il caso di un azienda poiché aveva proposto ai suoi clienti colossi informatici Google, Amazon e Facebook,
Soluzioni pubblicitarie mirate all’identificazione dei bisogni degli utenti attraverso l’ascolto in tempo reale delle conversazioni.
L’intento era quello di raccogliere dati vocali per identificare necessità e preferenze degli utenti, proponendo successivamente pubblicità personalizzate,
e offerte specifiche, ovviamente con l’assistenza di software dotati di Intelligenza Artificiale.
Le critiche non hanno tardato ad arrivare, rafforzando le preoccupazioni riguardo alla violazione della privacy e costringendo la stessa azienda a ritrattare le proprie affermazioni.
La funzionalità proposta denominata “Active Listening” ed è stata portata alla luce da un’inchiesta.
Dopo la pubblicazione di alcuni presentazioni aziendali relativi all’offerta, nei quali erano contenute affermazioni come “Con Active Listening, puoi ora utilizzare i dati vocali per indirizzare la tua pubblicità esattamente alle persone che stai cercando”
E’ stato chiarito che il servizio non implica un ascolto diretto delle conversazioni in tempo reale, bensì l’impiego di dati provenienti da terze parti opportunamente aggregati e anonimizzati.
Nonostante questa precisazione, Google ha rapidamente comunicato la propria decisione di escludere assolutamente la possibilità di usare tecnologia di questo tipo.
Amazon e Facebook hanno altresì specificato la loro estraneità al programma in questione, sottolineando come le loro piattaforme rispettino rigorosi criteri sulla privacy e non prevedano alcun tipo d’ascolto non autorizzato.
Come mai dunque molti avvertono la sensazione di essere osservati dai propri dispositivi.
Parte della risposta risiede in un fenomeno psicologico noto come illusione di frequenza.
Quando ci concentriamo su un argomento o su un prodotto specifico tendiamo a prestargli maggiore attenzione rispetto ad altri.
Inoltre, il nostro cervello tende a registrare solo le coincidenze più evidenti trascurando quelle meno manifeste.
Questi due aspetti psicologici combinati con sofisticati algoritmi analitici dei nostri comportamenti online contribuiscono alla creazione dell’illusione che i nostri telefoni siano sempre consapevoli delle nostre esigenze.
Va aggiunto che più che l’ascolto diretto delle conversazioni quotidiane è monitorata l’attività svolta sul web con nostra complicità.
Questo accade infatti quando accettiamo senza riflessione le condizioni proposte da siti internet ed applicazioni.
I dubbi però rimangono….mah!
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