Maggio 24, 2024

Lucida Martina, il diritto di decidere sulla propria fine

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Lucida Martina, il diritto di decidere sulla propria fine

La mia decisione non è dettata da disperazione, bensì da un profondo sentimento d’amore verso la vita che ho vissuto”,

Afferma con voce flebile, appena amplificata dal microfono tenuto per lei dall’avvocatessa che la assiste nella sua battaglia.

Martina Oppelli si presenta alla stampa a Trieste per la prima volta dopo aver reso pubblica la sua richiesta di essere liberata dalla sofferenza tramite il diritto di decidere sulla propria fine.

“Non avrei mai scelto di ammalarmi, né avrei mai desiderato prendere la decisione di porre fine alla mia vita”, sottolinea prontamente, rispondendo a domande difficili da formulare.

“Ma ora sono esausta, prosciugata, sazia di vita”, ripete le stesse parole pronunciate nel video appello diffuso una settimana fa dall’associazione Luca Coscioni e indirizzato al Parlamento affinché le sia riconosciuto il diritto al suicidio assistito medicalmente, finora negatole dall’Azienda sanitaria.

Con riguardo all’eutanasia. Martina Oppelli, architetto triestina di 49 anni, si presenta come una donna precisa, ordinata e di assoluta dignità.

Pur essendo esausta e dipendente completamente dagli altri”, in caso di ulteriore rifiuto da parte dell’Asugi potrà recarsi in Svizzera: c’è l’approvazione della clinica elvetica.

Martina Oppelli si distacca dall’immagine spesso associata alle persone come lei affette da sclerosi multipla secondaria, una malattia incurabile.

Tuttavia, il suo volto non tradisce questa sofferenza né la sua mente “lucida e consapevole nonostante l’intenso trattamento antidolorifico cui sono sottoposta”.

Il rossetto rosa sulle labbra mosse faticosamente e il mascara impeccabile perché, dichiarerà in seguito: “Non posso piangere; se lo facessi mi soffocherei con la mia stessa saliva”.

Non sono mantenuta in vita da un dispositivo medico, bensì dipendo interamente dall’assistenza di terzi», afferma Oppelli, avvolta nel suo pullover a righe sopra una camicia bianca.

Infilata nei pantaloni dalle badanti «senza le quali non riuscirei a sopravvivere»:

come nel momento in cui è stata lasciata da sola per 16 ore nel letto, «e mi hanno trovato tra le mie feci e l’urina, affamata, assetata, irrigidita come il cemento poiché senza aiuto non riesco nemmeno a prendere le mie medicine».

Pertanto “non mi vedrete piangere ma sempre sorridere”. Martina Oppelli sorride con lo stesso sorriso sul volto con cui chiede di porre fine alla propria esistenza attraverso il suicidio assistito nei confini stabiliti dalla sentenza 242 del 2019 della Corte Costituzionale.

Appello di Martina per un fine vita dignitoso

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