Ne cambiamo di smartphone, non pensiamo al costo al riciclo e all’ambiente.
Vediamo di analizzare il ciclo di vita e le impronte ambientali lasciate dai dispositivi elettronici, utilizzando come caso esemplificativo un telefono cellulare, e le potenziali soluzioni.
La produzione di un telefonino o smartphone richiede l’assemblaggio di un numero considerevole di componenti. In media, ogni dispositivo cellulare è costituito da circa 70 elementi chimici.
Tra i più significativi si annoverano quelli derivanti da terre rare e altri metalli preziosi, quali rame, argento e oro.
La prima fase del ciclo di vita di un cellulare culmina con la sua messa in produzione.
Per raggiungere tale fase, è necessario procedere preliminarmente all’estrazione delle materie prime indispensabili alla sua composizione.
Successivamente, queste dovranno essere trasportate e stoccate prima di essere assemblate.
Solo dopo questa fase il dispositivo potrà essere sottoposto a collaudo e quindi prodotto.
La seconda fase del ciclo di vita concerne la commercializzazione del dispositivo.
Una volta prodotto, infatti, il cellulare è pronto per essere immesso sul mercato; tuttavia, ciò avviene solo dopo che è stato attentamente testato e che è stata elaborata una strategia comunicativa efficace per il lancio del prodotto.
La terza ed ultima fase del ciclo di vita di un dispositivo cellulare riguarda infine la sua dismissione.
In questa fase si presentano diverse alternative: il cellulare può essere riparato o rigenerato, oppure riciclato o smaltito.
È opportuno precisare che la rigenerazione di un cellulare implica la risoluzione completa o quasi dei problemi estetici e tecnici legati alla sua usura.
Per riciclo si intende invece la trasformazione dei rifiuti in nuovi oggetti con lo stesso valore; ciò consiste nel recupero delle materie prime scartate per renderle nuovamente utilizzabili.
Secondo il WWF, ogni anno vengono prodotti circa 1,5 miliardi di telefonini. Tuttavia, solo il 15% di essi viene riciclato, nonostante ben il 96% dei materiali sia riutilizzabile.
Questi dati risultano particolarmente impressionanti se consideriamo che per ogni singolo telefono dal peso di soli 75 grammi sono necessari quasi 30 kg di rocce per estrarre le materie prime necessarie alla sua produzione.
Sempre secondo l’organizzazione non governativa citata, per produrre 1,5 miliardi di cellulari sono richieste 45 milioni di tonnellate di rocce; tali risorse provengono principalmente dall’Africa e dalla Cina.
Di conseguenza non mancano le critiche provenienti da segmenti della società civile finalizzate a denunciare lo sfruttamento sociale ed ambientale derivante da tale sistema produttivo.
Per contrastare tali problematiche e promuovere un “consumo etico”, sono emerse iniziative interessanti come quella dell’azienda olandese Fairphone.
La sua missione è quella di produrre smartphone “etici”, prestando particolare attenzione all’intero ciclo di vita del dispositivo: dalla produzione al riciclo.
Il tempo medio di utilizzo di un telefonino è attorno ai 2-3 anni, diventa evidente come l’impronta carbonica generata abbia “un impatto immenso”.
Per colmare questo divario, Fairphone rende facilmente riparabili i componenti degli smartphone da essa prodotti, con l’obiettivo di prolungarne la durata media.
Dalle custodie biodegradabili ai cavi realizzati con plastica e nylon riciclati agli auricolari in legno sostenibile ai caricabatterie ad energia solare.
Questi rappresentano un segno tangibile di una crescente consapevolezza che sta iniziando a radicarsi, sebbene possa apparire tardiva; tuttavia offre opportunità per immaginare un futuro differente.
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